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Libano: lo spettro della guerra civile

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Mentre al di la del confine la battaglia tra le forze di Bashar al Assad e l’opposizione armata infuria, il paese dei cedri sembra avvolto in una spirale di violenza che riporta alla mente la guerra civile del 75-90. Il fragile sistema libanese è destinato a cedere a causa delle pressioni esterne ed interne? Assisteremo ad un remake della cruenta guerra civile libanese? Nonostante le similarità tra le due fasi storiche, alcune cruciali differenze fanno sperare in un esito diverso.

Sulla strada di una nuova guerra civile?

Quando si pensa al Libano, le prime immagini che vengono alla mente sono spesso quelle delle devastazioni causate da 15 anni di guerra civile. Il conflitto, in realtà una lunga serie di scontri e “mini-guerre” tra le milizie dei diversi gruppi presenti nel paese (con il coinvolgimento di Siria Israele),  terminò nel 1990-senza tuttavia garantire al paese grande stabilità.  Da allora, fasi di relativa calma si sono alternate a momenti di alta tensione-causati da fattori domestici o regionali. Il paese dei cedri ha sofferto e soffre una condizione geopolitica quantomeno complicata, “schiacciato” tra Israele e Siria, terreno di scontro (e accordo) tra le due potenze del Levante ma anche valvola di sfogo delle tensioni dell’irrisolta questione palestinese.  Una pressione a tratti insostenibile per un paese dove 16 gruppi religiosi differenti compongono un panorama politico variegato ed afflitto da croniche divisione settarie.  Un paese dunque destinato a subire le conseguenze della guerra civile scatenatasi nella vicina Siria, così come la divisione regionale tra monarchie del Golfo - supportate dall’occidente- e il famoso “asse della resistenza” formatosi attorno all’alleanza tra l’Iran e la Siria di Assad, di cui Hezbollah è membro chiave.  Gli scontri in corso a  Tripoli, seconda città del paese situata a circa venti kilometri dal confine con la Siria, sembrano confermare quanto ciò che accada a Damasco possa influenzare il precario equilibrio del paese. Nella città del nord infatti gli scontri nelle aree di Jabal Mohsen, Bab al-Tabbaneh e Qibbeh  vedono fronteggiarsi due quartieri-uno sunnita e l’altro a maggioranza alawita-la stessa setta del presidente siriano Assad- e sembrano essere causati da una divisione tra pro e anti Assad in Libano.

Mentre a Tripoli l’esercito libanese è impegnato nella difficile missione di riportare la calma in città, a Saida (Sidone) nel sud del paese lo sceicco sunnita (e salafita) Assir e i suoi seguaci hanno occupato per settimane una delle principali vie d’accesso alla città al fine di ottenere il disarmo di Hezbollah e la consegna dell’arsenale militare dell’organizzazione sciita all’esercito libanese. Un problema più che mai di attualità viste le insistenti voci di un possibile trasferimento di armi chimiche dal regime siriano all’alleato libanese. Una richiesta, quella del disarmo di Hezbollah, che non trova certo il supporto dell’intera popolazione libanese, poiché anche coloro che si oppongono ad Hezbollah in Libano riconoscono al “partito di Dio” il ruolo di difensore del paese nel corso dell’invasione israeliana del 2006.  Una richiesta che tuttavia è figlia di una inquietudine che sembra coinvolgere buona parte della comunità sunnita del paese-giustificabile solo in parte con la situazione che affligge i correligionari nella vicina Siria.

Uno scontento che ha sicuramente origine nella situazione politica (e militare) del paese. Nonostante in Libano l’ultimo censimento ufficiale sia stato effettuato nel 1932, i sunniti dovrebbero rappresentare oggi il gruppo più numeroso  (anche se sembrano destinati a cedere questa posizione agli sciiti). Gli accordi di Taif, siglati nel 1989 per porre fine a quindici anni di guerra civile ma mai pienamente implementati, prevedevano il riequilibrio dei poteri tra il presidente (maronita) e il primo ministro (sunnita) e lo speaker del parlamento (sciita), creando una ripartizione del potere tra le tre sette, oltre alla divisione del parlamento 50:50 tra cristiani e musulmani. Gli accordi prevedevano inoltre la graduale abolizione del sistema settario in favore di un diverso sistema di rappresentanza.

Il nodo Hezbollah

Gli stessi accordi di Taif sancirono inoltre il disarmo di tutte le milizie del paese-con l’esclusione di Hezbollah. Questa eccezione, riconoscimento del ruolo giocato da Hezbollah nell’opporsi alla presenza israeliana nel paese, ha di fatto creato una situazione in cui il fragile stato libanese-ed il suo debole esercito-hanno ceduto la sovranità di significative parti del paese al partito di Dio. Una situazione percepita da diversi attori politici come una costante minaccia alla stabilità del paese: il doppio ruolo di Hezbollah (partito politico e forza di resistenza) pone infatti la formazione sciita in una posizione di vantaggio rispetto ad altra forze presenti nel paese.

Da qui il dilemma del paese dei cedri: se da un lato la forza d’urto d’Hezbollah pone una costante ombra sulla vita politica del paese, dall’altra il partito di Dio s’è dimostrato nel 2006 unico argine contro la supremazia militare israeliana nel Levante. Con un esercito lungi dall’essere in grado di difendere il paese da eventuali attacchi, il Libano può fare a meno di Hezbollah? La presenza della forza sciita d’altro canto non rischia di provocare (come nel 2006) un intervento israeliano? E’ possibile immaginare un percorso verso una normalizzazione della vita politica libanese quando uno o più tra i partiti principale sono anche milizie armate? Questi tre quesiti sembrano rappresentare il nodo del “dilemma Hezbollah” che affligge il Libano.

La crisi siriana può rappresentare la miccia capace di accendere la polveriera-Libano? Il caso dei profughi rappresenta l’effetto più evidente delle ripercussioni sul Libano: il numero dei rifugiati siriani nel paese varia a seconda delle stime-c’è chi lo pone già a circa 200.000, chi parla di un numero tra 80.000 e 100.000. Sembra tuttavia inevitabile che il peggioramento della crisi siriana causi un aumento del flusso di rifugiati, che il Daily Star ha stimato essere di circa 5.000 unità al giorno nei giorni caldi della “battaglia di Damasco”, e di poco inferiore nelle ultime settimane.  Il flusso di immigrati, se costante, rischia di alterare l‘equilibrio di forze nel paese dei Cedri.  

Inevitabili i riferimenti al ruolo giocato da un altro gruppo di rifugiati-i palestinesi e l’OLP di Yasser Arafat- nella guerra civile libanese.  Ciò che tuttavia preoccupa di più nell’immediato sono i recenti sviluppi nel paese: da una parte i già citati scontri di Tripoli, dove l’assassinio dello sceicco Khaled Al-Baradei sembra in grado di causare una ulteriore escalation negli scontri tra forze anti e pro Assad, dall’altra i rapimenti avvenuti a Tripoli e nella valle della Beeka.  In un recente articolo apparso sull’Independent1, Robert Fisk sottolinea una serie di stranezze nella vicenda dei  rapimenti di cittadini siriani e turchi, in apparente risposta al abduzione di Hassan Moqdad, membro del clan Moqdad, da parte dell’Esercito Siriano Libero.

Se i sequestri sono avvenuti in una delle tante zone controllata da Hezbollah, ed è quindi improbabile che siano avvenuti senza quanto meno il tacito assenso del partito di Dio, sembra sempre meno plausibile che Hassan Moqdad fosse parte del contingente di 1500 membri” che Hezbollah avrebbe inviato in difesa di Al-Assad secondo quanto confessato in video dallo stesso Moqdad. Che ci sia o meno del vero in questa confessione, enfatizzare la connessione tra il regime di Assad ed il suo alleato libanese sembra un modo per acuire la divisione tra sciiti e sunniti in Libano, e probabilmente screditare l’attuale governo libanese, supportato dalla coalizione 8 marzo di cui Hezbollah è parte fondamentale.  E’ naturale dunque domandarsi chi possa avere interesse ad acuire le tensioni in Libano, ed a quale fine. Una prima risposta, seppur scontata, è che sia interesse delle potenze (regionali o esterne) opposte all’ “Asse di Resistenza” provare a delegittimare ed indebolire Hezbollah screditandola.

L’impopolarità dell’alleanza con Bashar Al-Assad negli ultimi mesi ha, a parere di molti, danneggiato notevolmente Hezbollah e “bruciato” parte della popolarità ottenuta dal partito di Dio nel 2006.  Esercitare pressione in questo senso potrebbe essere un modo di cercare di moderare il supporto che Hezbollah possa offrire al regime siriano. Le accuse potrebbero essere dunque in quadrate in una più vasta offensive-guidata da Qatar ed Arabia Saudita-che mira a sfruttare la crisi in Siria per indebolire l’”Asse di Resistenza”. Questa offensiva coinciderebbe perfettamente con le dinamiche libanesi, caratterizzate da una crescente contrapposizione tra Hezbollah, alleata di Iran e Siria, e le forze sunnite, raggruppate attorno al “Movimento del Futuro” di Saad Hariri, da sempre vicino alle monarchie del Golfo ed all’Arabia Saudita in particolare.  

Conclusioni: uguali ma diverse

Nel caso del Libano il parallelo tra le vicende degli ultimi mesi e quelle precedenti lo scoppio della guerra civile appare purtroppo scontato. Oggi, come 37 anni fa, un sistema fragile e con alto potenziale di conflitto viene posto sotto pressione da attori regionali. Oggi come nel ‘75 gli attori nazionali sono tra loro divisi dalle relazioni con gli stessi attori regionali. Eppure le ovvie similarità non devono fare dimenticare le altrettanto importanti differenze. Prima di tutto, un bilancio politico militare completamente diverso: se nel 75 diverse milizie con simile potenziale militare si fronteggiarono in un lungo e sanguinoso conflitto, oggi nessuno in Libano sembra poter rivaleggiare con la forza d’urto e l’organizzazione di Hezbollah.

Questa netta superiorità potrebbe spingere diverse fazioni ad evitare la strada del conflitto armato-almeno per un po’ di tempo. Inoltre, la comunità siriana che si va ingrossando a seguito del progressivo deterioramento della situazione oltre confine potrebbe non rappresentare un grosso problema. Rispetto a quella palestinese dominata inizialmente dalla OLP di Arafat, la comunità siriana è relativamente meno politicizzata, militarizzata e coesa e potrebbe dunque non essere percepita come una minaccia all’equilibrio settario e militare del paese-come accadde nel ’75, quando la guerra civile fu inizialmente scatenata da scontri tra milizie cristiane e guerriglieri palestinesi. Inoltre, l’esperienza della guerra civile e le invasioni di Siria e Israele, inizialmente “invitati” da attori interni e poi ospiti indesiderati per lungo tempo, potrebbe sconsigliare le forze libanesi dallo scatenare un conflitto che potrebbe causare il coinvolgimento di potenze esterne. Se il parallelo storico con la guerra civile del 1975-1990 sembra segnare il futuro del prossimo del Libano, queste importanti differenze inducono a sperare in una soluzione positiva della tensioni che affliggono il paese in questa fase politica.    

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